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Quando il frutto si prese la rivincita sul legno

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Claudio Mésoniat / Fiorenzo Maffi
Vendemmia Ticino
Al Palacongressi di Lugano la degustazione indetta Ticinowine ha confermato che i nostrani professionisti del vino sanno gestire le insidie di clima, meteo e insetti. 

Che fare quando meteo e Suzukii si alleano per far scaturire un’annata di uva «poco matura» (più vicina, nella media, agli 80 che ai 90 gradi Oechslé) e ridotta quantitativamente del 20, 30 e anche 40%? Ricordate il 2014 viticolo ticinese? 

Varcando ieri mattina il Palacongressi di Lugano per la tradizionale degustazione annuale dei vini ticinesi, organizzata da Ticinowine, mi dicevo «ok, uno dei settori eroici dell’agroalimentare cantonale, nel quale stiamo dimostrando di anno in anno (e da una sessantina d’anni) di saperci fare, va sostenuto e valorizzato, mai bastonato; ma proprio non me la sento di ripetere il ritornello dell’“ottima annata” per questo 2014 arrivato piuttosto smandrappato in cantina». E per quanto la stessa Ticinowine (associazione dei produttori) nel suo comunicato avesse anticipato che «il 2014 non ha la struttura alla quale ci hanno abituato le ultime vendemmie», lo slogan «grandi vini da una piccola annnata» mi sembrava un po’ troppo ottimista. Ma proviamo, mi sono detto. E le sorprese non sono state poche.

Piccoli, medi e grandi produttori locali hanno saputo portare alla degustazione vini che hanno qualcosa di interessante da dire. Vini che rivenditori e consumatori faranno bene a non sottovalutare. E sapete qual è la «scoperta» che abbiamo fatto, vagando col bicchiere in mano negli stand dei vinificatori? Che l’annata «difficile» ha riportato in auge un grande criterio di qualità, valido per tutti i vini ma da parecchi anni un po’ dimenticato, anche qui da noi, sopraffatto com’è stato dal dogma dei vini obbligatoriamente sposati al legno delle barriques e quindi inevitabilmente tannici: il criterio del frutto.

Ebbene sì, c’è forse voluto il contributo di fattori indesiderati per indurre i nostri enologi, per amore o per forza, a puntare su vini che nel profumo e nel sapore conservassero la freschezza e la dolcezza del frutto da cui prendono le mosse. La difficoltà e il sacrificio che aguzzano l’ingegno? In qualche modo possiamo dire di sì. Le uve del 2014 non si prestavano -con le debite eccezioni- agli affinamenti in barrique. E molte cantine hanno rinunciato a  presentare sul mercato alcune loro etichette anche prestigiose, convogliando le uve di vigneti pregiati nelle vasche dei prodotti vinificati «nature». I quali ne hanno tratto a volte notevole beneficio. Non è stato tutto così semplice, naturalmente.

Stante il grosso lavoro di selezione delle uve, chi ha vigneti propri ha fatto scelte anticipate e vendemmie differenziate, mentre le cantine che acquistano hanno eseguito rigorosi controlli sulla qualità delle uve dei conferitori (camionate di grappoli immolati alla malefica drosofila). Ma tutti hanno fatto sacrifici non indifferenti. Va sottolineata l’onestà professionale dei tanti che hanno rinunciato a settori di mercato pur di non mettere in vendita prodotti imperfetti (e che a buon conto non avrebbero giustificato certi prezzi...).

C’è chi, per non creare buchi sul mercato, potrà far leva sulle scorte di ottime annate precedenti... e chi no. C’è chi ha puntato sulla vinificazione in bianco, per la quale molte uve 2014 si prestavano egregiamente. Non solo i rossi ma anche i bianchi ticinesi di questa annata, dunque, saranno da gustare ghiottamente. Vale la pena approfittarne fin che ce ne saranno sul mercato, perché comunque ce ne saranno pochi (almeno il 20% in meno rispetto all’annata precedente).

Ma insomma, forse l’idea fissa che si debbano raggiungere gradazioni molto alte (sopra i 90 Oechslé) per vinificare dei buoni Merlot ticinesi sta segnando il passo. Se ne terrà conto quest’anno? Troppo presto per dirlo. Decisive saranno le prossime tre settimane: col fiato sospeso si attendono i bollettini di Locarno Monti. E si incrociano le dita sugli sviluppi dei focolai di Suzukii...